Nel suo viaggio alla ricerca delle determinanti del successo Anthony Robbins annovera come sesto comandamento “il lavoro è gioco”. “lavoro” è una parola importantissima, assolutamente scottante da ogni punto di vista, che costituisce il nerbo della vita di ognuno di noi che necessita ogni giorno di lavorare che lo voglia o meno. Il punto su cui insiste Robbins, da buon americano, è che nessuno ha ottenuto grandi successi facendo un lavoro che detesta e che la chiave per sfondare sia un perfetto matrimonio fra ciò che si ama e ciò che si fa, nello stesso spirito di Mark Twain che diceva che “il segreto del successo consiste nel fare della propria vocazione una vacanza”. Questo, siamo sicuri, è lo spirito che avevano grandi realizzatori come Steve Jobs o Abramo Lincoln, icone dell’uomo realizzato, del “self-made” man che se vogliamo è uno degli oggetti di questo libro e di sicuro uno dei miti della mentalità americana. E’ proprio in questo però che secondo me stanno le pecche del suo pensiero e, nello stesso tempo, anche gli aspetti vincenti.
Uno degli aspetti che non condivido, alla base invece del pensare di questo libro e della mentalità americana, è l’idea che il lavoro sia funzione solo e unicamente di noi stessi, che cioè si possa sempre e in ogni modo con passione, energia e tutto quello di cui ho parlato negli articoli precedenti trovare e praticare il lavoro dei propri sogni. Il lavoro è gioco quando hai la fortuna di appassionarti ...
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