La prima volta

 

Di “prime volte” da ragazzo se ne vivono tante, ognuna ha la sua storia e più o meno d’effetto, più o meno deludente, lascia sempre il segno. E nella vita, come nello sport a rimanere non è il successo o il tabellone, quanto più le emozioni sperimentate. Per fortuna sono poche le “prime volte” segnante da un punteggio come quello di domenica, ma come già detto i numeri non sono fatti per essere ricordati, sarebbe come domandare ad una coppia sposata quanto hanno speso la sera del loro primo appuntamento: solo numeri, ma quello che i numeri non sanno raccontare, quello resta scritto. Resta vivo nei ricordi che dopo tre giorni mi riportano alla mattina di domenica quando a due ore dal suono della sveglia ero già in piedi vispo e pimpante, con gli occhi sbarrati, le mani agitate e la mente impegnata in un check up generale alla ricerca della più piccola sensazione di fastidio, blocco o dolore. Tutta quella tensione provocata non dal timore della sconfitta, dai numeri o dalla paura dell’umiliazione personale, ma da un’altra preoccupazione: essere all’altezza dei miei compagni. Molto sentirete dire sul Football Americano, che è uno sport violento, tattico, vivo o lento, divertente o noioso, acrobatico o pomposo, ma nessuno vi dirà mai ciò che solo un giocatore (persino un neofita come me) impara: è uno sport di squadra, un vero sport di squadra. Non ha nulla a che vedere con la meritocrazia, essere il migliore non ti salva. Non vieni premiato solo dalle tue capacità perché la chiave di questo gioco sta nel gruppo, sta nella fiducia negli altri, nella speranza (premiata il più delle volte) che tutti facciano il proprio dovere, che tutti ricoprano il proprio ruolo. La mia paura più grande consisteva nel far pesare ad altri la mia impreparazione, su qualcuno più capace e meritevole di me. Se non blocchi, per quanto il tuo compagno sia bravo, se la dovrà vedere con un difensore in più, si farà più male di te, senza esserselo “meritato”. Tutti in

questo gioco devono fare la propria parte, e tutti lavorare insieme, anni luce lontano dal calcio o dal basket, questo sport ti responsabilizza non come “atleta” ma come membro di un gruppo, del quale sono più che fiero di aver fatto la conoscenza. Con il quale ho avuto il piacere di condividere un viaggio in pullman che nei riti e negli scherzi mi ha riportato agli anni del liceo, e dal quale ho avuto la soddisfazione di essere accettato. Non lusingato o elogiato, ma responsabilizzato della sicurezza dei miei compagni, ricevere la loro fiducia, ecco la mia vincita di domenica, ecco per cosa giocherò le prossime. Tra qualche anno, ripensando a quella trasferta lontana a Cuneo, forse per il tempo trascorso (o forse per orgoglio), farò fatica a ricordare i numeri scritti su quel tabellone, ma non dimenticherò mai quanto conquistato su quel campo, con tutto ciò che da oggi comporterà.

Go Rams!

Giorgio Massari #17

Chiediamo scusa a Giorgio per il ritardo con cui pubblichiamo le sue esternazioni fatte dopo il debutto di Cavallermaggiore, dovuto alla segnalazioni di vicende di cui non avremmo voluto parlare.