L’emozione.

Si, inutile negarlo, sabato sera abbiamo vissuto una emozione indimenticabile. Credo che l’intensità e la forza della stessa non sia stata data tanto dal tipo di conquista che abbiamo ottenuto, non era importante se fosse il titolo italiano FIF a.s.d. o il titolo intercontinentale, la cosa importante era poter fissare un punto, apparentemente di arrivo, di fatto di partenza. Si dopo cinque anni che ci siamo ritrovati in un campo in sei siamo arrivati l’altra sera in 38 giocatori a conquistare un trofeo impensabile all’inizio. La cosa bella è che ognuno ha contribuito sacrificandosi per gli altri. Chi più, chi meno ha accettato il ruolo che gli veniva assegnato di volta in volta. Così Nitro accettava la panchina per far crescere i suoi compagni ed arrivare integro alla finale, Bush si adattava al ruolo che la squadra gli richiedeva, giocando guardia o tight end a seconda delle esigenze, o non giocando per far crescere il giovane Thomas, Edo e Francesco si alternavano con Ferla accettando la sequenza degli schemi chiamati, che potevano renderli più o meno protagonisti. Marco subiva le mie intrusioni nel suo ruolo, sia sapendo che doveva far riposare la gamba, sia sapendo che non era facile levarmi dal campo quando questi era l’unico momento di sfogo che potevo concedermi. Stessa cosa in difesa dove Paolo si adattava a passare da nose tackle a Linebacker o Mira da middle a cornerback o strong safety a secondo delle situazioni, e così via. Insomma tutti hanno saputo trovarsi il proprio spazio e ruolo perfino Carlo e Giuseppe arrivati da solo poco più due  mesi ma già integrati nella squadra come dei veterani. Lo sport, come la vita ci regalano emozioni incredibili, ma come la vita sono crudeli e il giorno dopo tutto ricomincia, per questo il punto di arrivo è di fatto un punto di partenza. Da oggi si ricomincia a lavorare per il prossimo traguardo, sapendo che potrebbe essere più difficile. Potremmo farci contagiare dal pensare di aver capito tutto o di non avere niente da imparare, quando invece è l’esatto contrario. Sabato sera abbiamo capito quanto siamo lontani dal giocare un buon football, quattro fumble, alcune palle prendibili mancate, molti tackle accennati ma non conclusi, insomma tanto lavoro per migliorarci e sperare di poter rivivere le emozioni di sabato. Un cosa non potremo perdere: quei secondi indimenticabili, quegli abbracci intensi fra di noi, le lacrime di Randy, le mie sono ormai prassi, che ci hanno unito, quei momenti che solo chi c’era può capire cosa rappresentano e rappresenteranno. Ogni volta che saremo indecisi se venire o no all’allenamento, che magari siamo tentati di trovare una scusa credibile per noi stessi , dobbiamo ricordarci del perché lo facciamo e di quello che potremmo vivere andandoci.  Facciamo in modo che questa vittoria sul campo si trasformi anche in una vittoria nella vita. Mai come oggi la nostra nazione, in fondo la nostra squadra più importante , ha bisogno di giocatori onesti, di giocatori che si allenino per diventare utili ad essa. Portiamo la nostra esperienza del campo nel nostro ambito. A scuola, in ufficio, sul posto di lavoro, in famiglia facciamo si che il titolo conquistato ci trasformi e ci motivi nel diventare un esempio di come ci si possa divertire facendo il proprio dovere. Superiamo le difficoltà come facciamo sul campo, utilizziamo il nostro fantastico sport come un momento di sperimentazione di ciò che ci accadrà nella vita. Facciamo si che i nostri compagni di scuola vedendo il nostro cambiamento vogliano anche loro provare a giocare. Raccontiamo loro che non c’è droga al mondo che ci possa far provare , ne denaro sufficiente per comprare,  quello che noi abbiamo vissuto. Siamo solo all’inizio, non sarà facile ma tanto ormai è assodato, lo sanno tutti: “ La gente come noi non molla mai.”