L’EREDITA’ RAMS

Qualche giorno fa, leggendo il libro “Legacy”, sull’attitudine mentale degli All Blacks – la nazionale neozelandese di rugby – mi sono imbattuto in un passaggio che mi ha fatto pensare. James Kerr, l’autore, rifletteva sulla fugacità della vita, scrivendo: “E’ fondamentale onorare chi ci ha preceduto e  chi verrà dopo di noi. Dobbiamo lasciare la maglia in un posto migliore.

Gli All Blacks sono fortemente influenzati dalla cultura maori, che in molti conoscono nella rappresentazione spettacolare della danza haka, tipica di ogni pre-partita. Ridurla solo a questo però sarebbe riduttivo. Il capitolo proseguiva infatti con un detto tipico, che recita “Manaaki Whenua, Manaaki Tangata, Haere Whakamua”. Prenditi cura della terra, prenditi cura delle persone, vai avanti.

I Rams sono molto più di quello che sembrano. Hanno radici lontane e rami che continueranno a crescere forti e robusti nel tempo. Potrei trovarmi in difficoltà letteralmente in qualsiasi parte del mondo, dall’Austria all’Irlanda passando per Israele ma sarò sempre certo di trovare le corna di un ariete pronto a darmi appoggio. Se tutto questo è oggi possibile è perché la storia bianco-verde è scritta da persone, molto più che da statistiche. Spesso non contano le vittorie o gli anni di militanza in questo. Per fare qualche esempio, Giuseppe Cannizzaro ha giocato coi Rams appena tre anni ed è tutt’oggi caso di letteratura su come un fullback debba difendere il suo quarterback. Daniele Di Marco non aveva quello che si poteva definire un “fisico da football americano” ma si è allenato con una costanza devastante per arrivare a segnare il suo unico touchdown poco prima di emigrare all’estero. Se quel singolo touchdown è ricordato nell’ultimo libro – “Il modello Rams” – evidentemente ha avuto un peso maggiore di quelli segnati da decine di ricevitori anonimi.

Non solo passato però, anche giorni nostri. L’anno scorso infatti, nell’ultimo mio anno da giocatore nella Legio XIII a Roma, alcuni miei compagni analizzando le varie division, mi chiesero di un “fortissimo runningback milanese”, tale Mancini. Dopo un momento di spaesamento,  capii che stavano parlando di Cristianino (ndr. Nel football ci conosciamo tutti per soprannomi, ho infatti fatto molta fatica a citare nomi e cognomi qualche riga sopra). Nel 2016, anno del mio trasferimento lavorativo, mentre io mi accingevo a lasciare la squadra, lui era appena arrivato. Era giovanissimo, in un parco di corridori che includeva mostri sacri della storia Rams. Dopo appena tre anni, talento e sudore lo avevano portato sulla bocca di tutta Italia ed io mi sentivo come a cavallo di due ere.

Quando Big mi diceva che per i Rams si poteva fare qualcosa di più che giocare non riuscivo a comprenderlo. Ovviamente tutto ha un tempo. Mentre ci ragionavo, intorno a me vedevo identità formarsi, ragazzi diventare uomini e noi tutti prendere da quella maglia a volte più di quanto riuscivamo a restituirgli. Forse per questo tenni per tutta la mia militanza a Milano lo stesso numero – il 56 – che mi aveva assegnato Big stesso, pur non considerandolo inizialmente il “mio”. Quando però ci fu l’occasione non lo cambiai. Era ormai diventato la mia identità ai Rams e sapevo di voler lasciare quel cinquantasei in un posto migliore da dove lo avevo preso.

Questo è quello che vorrei passare ai tanti rookie che si stanno approcciando al campo del Saini. Allenatevi soprattutto quando nessuno vi guarda, impegnatevi, sudate ma non giocate mai per la singola vittoria. Fate parte di qualcosa più grande di voi. Andate oltre. Siate l’antenato di cui volete si parlerà domani. 

Enrico Nunnari – Rams #56

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