Un Rams alla volta: Salvatore “Tato” Ruggiero #75 – Parte 2

Raccontaci un episodio curioso, divertente che ti caratterizza, ( oppure un ricordo a cui tieni particolarmente ) che non hai mai rivelato.

Ve ne racconto due. Non so quanto siano divertenti, lasciamo giudicare i lettori, ma chi li conosce afferma che mi caratterizzano molto. 

Il primo, noto già a molti: anni fa in una partita a Novara contro i Lancieri durante un’azione viene lanciata una flag a nostro sfavore. “Violenza non necessaria”, numero 75 verde (ovvero io), è la spiegazione dell’arbitro: caso unico nella storia del football, credo, in cui la reazione dei giocatori di una squadra a una chiamata arbitrale a loro sfavore non è rabbia o indignazione, ma assoluto stupore. Non sono mai stato un giocatore che si può definire “aggressivo” e nessuno credeva avessi potuto commettere “violenza non necessaria”, anzi qualche volta mi era capitato di essere ripreso per non avere usato neanche quella “necessaria”. Infatti il fallo era stata una svista arbitrale, ero stato spinto nella schiena da un avversario e la spinta mi aveva fatto arrivare con eccessiva foga su un altro avversario ad azione già conclusa.

Il secondo: qualche giorno dopo l’intervento di ricostruzione del crociato ero a casa in convalescenza. Al mattino mi alzo e come nei giorni precedenti scendo le scale e vado a piazzarmi sul divano con la gamba distesa. Qualche minuto dopo chiamo Chiara (la mia compagna e responsabile del Rams Gameday) e con tutta calma le dico: “Sai, credo che mi si siano aperti i punti della ferita”. Lei mi raggiunge, mi vede il ginocchio e la gamba ricoperti di sangue, si spaventa e subito chiama l’assistente del chirurgo per informarlo e chiedergli cosa fare. Al telefono il dottore allarmatissimo, quasi in preda al panico, le dice di portarmi in ospedale: “Con urgenza, gli dia un forte analgesico, sarà sicuramente in preda a dolori fortissimi, lo faccia muovere piano, gli chieda di sforzarsi”. Nel frattempo io, che avevo capito che sarei dovuto andare in ospedale, mi ero già rifatto la fasciatura alla meglio, alzato, vestito ed ero in piedi in stampelle pronto per andare. Effettivamente l’episodio dà abbastanza la misura di una delle mie caratteristiche principali: la calma. 

Quali valori, sportivi, umani, etici hai trovato nei Rams?

Parlo solo di uno in particolare che mi si era un po’ annacquato e i Rams mi hanno aiutato a ritrovare e a coltivare. 

Il senso di responsabilità, la capacità di riconoscere quando è il momento di farsi carico di un impegno: perché sei la persona adatta, perché sei l’unico che può, perché va fatto. Senza però sentirsi costretti.

Quando entri a far parte di una squadra come i Rams, se rimani è perché quel gruppo è diventato più di una famiglia e quando la tua squadra ha bisogno, tu ci sei. Non perché devi, non perché vuoi, non perché puoi, non perché sei obbligato. Ci sei e basta.

Da settembre 2019 hai assunto un nuovo è importante incarico, restando sempre molto presente nello spogliatoio, ma quali sono le motivazioni che hai avuto a settembre per ricominciare ancora, in questa nuova veste?

In realtà non lo considero ricominciare, preferisco pensare a una naturale evoluzione. Nel corso della stagione 2018 Big Ram mi aveva già fatto sperimentare occasionalmente il ruolo di coach della offensive line. Oltre a non essere pronto a fare il coach, lo sapevamo entrambi ma si trattava appunto di un esperimento, non ero ancora pronto ad accettare che l’infortunio grave subito alla fine della stagione 2017 sarebbe stato un ‘ending career injury‘. Speravo di poter recuperare, di tornare in campo e di conseguenza ragionavo ancora al 100% da giocatore. Nella stagione 2019 è poi arrivato un nuovo coach della Offensive Line, capace e con anni di esperienza. Quella stagione mi è servita per maturare, per osservare il lavoro dei coach senza la pressione che puoi avere da giocatore “attivo” e per cominciare pian piano a ragionare anche da coach. A fine stagione Big Ram ha ritenuto che fossi pronto e anch’io, nonostante per carattere abbia continuato a schermirmi, ero più convinto. Ho preferito per il momento non abbandonare il ruolo di giocatore (per motivi fisici rimasto soltanto formale) ma non perché creda nell’efficacia di un doppio ruolo giocatore/allenatore, anzi, ritengo che finché rimani un giocatore “attivo” questo ruolo sarà sempre predominante. Continuo a fare il riscaldamento con la squadra e chiederò di essere tesserato anche come giocatore finché l’età lo permetterà. La mia scelta è dovuta all’intenzione di rendere la transizione più graduale sia per me sia per i miei compagni di squadra. Non sono una persona diversa perché adesso sono il loro coach ma ho sicuramente responsabilità diverse: è una novità per me e per loro, stiamo imparando assieme ad orientarci in questo nuovo scenario. In più non credo sia un male avere qualcuno che faccia da “ponte” tra i due mondi (magari in futuro non sarò più il solo). In conclusione, non mi sento ancora del tutto un coach, direi che nella mia testa al momento sono 60% coach, 40% giocatore. 

Che cosa ritieni un “Must” per i Rams, a livello sportivo, umano e di formazione? 

Il principio che in una squadra o in un gruppo ogni ruolo, per quanto minore, nascosto, umile, è determinante nel percorso verso gli obiettivi. 

Non è condiscendenza ma il giusto riconoscimento del contributo di tutti nel viaggio che si fa insieme verso un risultato.

Credo sia importante non solo per motivare chi potrebbe pensare che in un ruolo minore il suo contributo sia inutile alla causa, ma anche per ridimensionare chi si sentisse la “star“, l’unico che conta.