Un Rams alla volta : Micael Busnach “Bush” #83
Ciao Micael, come hai scoperto il Football Americano?
Non sono mai stato un grande appassionato, almeno fino ai 24 anni. A 22 anni ero stato ad Austin in Texas, ma non ci capivo granché, ero andato a provare ad allenarmi e guardare le partite del college, ma rimanevo solo 1 mese scarso, facevo più che altro la parte atletica, pero’ avevo intuito il potenziale, qualcosa che esprimesse aggressività e strategia.
Come hai incontrato i Rams? Perché hai scelto di giocare con loro? ormai sono diverse stagioni spiegaci il tuo attaccamento alla squadra, che si è profondamente modificata da quando sei stato rookie tu.
Un episodio curioso. Lavoravo in una grande società di consulenza. Giornate intere sul pc fino alle 8 di sera, e difficilmente potevo dare sfogo. Un giorno 4 miei amici mi scrivono che stanno andando a provare a giocare a football. Io per caso avevo la borsa della palestra e ho detto di venire a prendere anche me. Così mi sono ritrovato sul campo ad allenarmi senza attrezzatura, una maglietta un pantalone e delle scarpe da tennis e boom ero un Rams. La stagione sarebbe iniziata da li a 20 giorni. . Il mio attaccamento è stato amore dal primo allenamento il rapporto piuttosto si è evoluto come giusto che sia in tanti anni. All’inizio ero ultimo degli arrivati, tanta gente davanti da dover scavalcare sportivamente, ma tanti consigli, tanta voglia di apprendere e grazie a Dio tanta voglia di insegnare soprattutto da parte di Big Ram. I primi anni ci portava con 2/3 ore di macchina a fare dei camp a Bologna o Brescia, con dei coach americani poi sono passati tanti coach, tanti atleti, tanti compagni, ho cercato di prendere qualcosa da ogni persona che ho incontrato, avversari compresi. Tutto ciò mi ha permesso ogni anno di trasmettere alcuni insegnamenti ai nuovi sia atleti sia ultimamente anche ai coach nuovi.
Quali sono stati i momenti fondamentali per il tuo percorso di giocatore nei Rams?
In 12 stagioni Rams più una in prestito ai Frogs ci sono stati diversi momenti. Diciamo che 5 stagioni da Guardia mi hanno permesso di fare il Tight end nel migliore dei modi. Sono riuscito a concentrarmi nelle ricezioni avendo già un background da linea per i blocchi. Altro momento fondamentale è stato quando coach Bravetti, mi ha fatto notare l’importanza di fingere il blocco nelle play action. Non c’è stato poi avversario che non cascassse nella finta blocco per poi andare a ricevere palla, ne ho fatto un marchio di fabbrica. Ecco questo momento è stato di gran lunga il più importante nell’evoluzione da Tight end
Raccontaci un aneddoto curioso, divertente che ti caratterizza.
Uno dei più belli è stato quando dopo anni da capitano, da un certo punto in poi Big decise di non nominarmi capitano prima dell’inizio delle partite. Io non dissi niente, ma non nascondo mi feci delle domande, forse non mi reputava più in grado di svolgere il ruolo, ma mi sembrava strano. Aspettai diverse partite, ma niente, nessuna spiegazione, nessuna nomina, nonostante le assenze dei capitani di nuova nomina. Allora chiesi in modo informale per non urtare la “sensibilità” di Big il motivo di tale decisione. Candidamente mi fu risposto “non rompere i coglioni, c’è Bush, poi ci sono i capitani, se dovessi nominare Bush capitano, allora perderei un ruolo in squadra”.
Mi viene in mente un altro aneddoto divertente. Durante una finale di campionato contro gli acerrimi nemici dei Lancieri, su un terzo e 15 dal td, Big decide di cambiare i due nostri rb titolari di cui uno molto pesante e uno molto veloce, con due rookies che avevano giocato si e no 10 azioni di cui 9 con perdita di yard. Dall’huddle, dove riprendo le forze dopo uno sforzo assurdo, guardo Big e penso “questo è completamente impazzito”, adesso chiamo time out e gli esplodo in faccia, ma poi mi calmo e ready to play”, parte l’azione, touch down del rookie. Esco guardo Big e gli dico, scusa non ho ancora capito niente, pensando fosse almeno un po’ sorpreso. Mi guarda e mi dice,” so esattamente cosa hai pensato”.
Quali valori, sportivi, umani, etici hai trovato nei Rams?
( “LA GENTE COME NOI NON MOLLA MAI”.)
Sono stato in diverse squadre di diversi sport da quando ero bambino. Tanti tipi di spogliatoio, tante amicizie e tanti valori. Ma i primi giorni dei Rams tutti i coach continuavano a dire che i Rams erano una voce fuori dal coro, e che la gente come noi non molla mai. Subito capisci che non sono slogan fini a se stessi, ma sono filosofie di vita. Ho imparato tanto a livello umano, ma soprattutto a livello etico. Molte volte sono stato smentito, quando vedendo arrivare un nuovo giocatore, non riuscivo a capirne la prospettiva e delle volte esprimevo i miei dubbi, ma poi venivo quasi regolarmente smentito, perché se seguivi le famose tre C di Big, ogni persona aveva la sua chance. E vale anche nella vita di tutti i giorni. In famiglia come nel lavoro, metterci sempre la grinta, il cervello, e il coraggio (cabeza corazon y cojones), ti permette di affrontare tutto. Non so se chi ci leggerà abbia mai giocato un kick off return. Quell’azione per la quale l’attacco riceve la palla dopo il calcio iniziale della difesa. E c’è quel momento prima del calcio dove la tensione sale, la paura c’è e da li entro 5 secondi ci saranno 9 persone che prendendo la rincorsa di 20/30 metri e cercheranno di buttarti a terra. In quel momento sai che devi avere le tre C per non farti male o per non far fare male ad un tuo compagno. Ecco se hai passato quel momento tutto primo capisci che tutto il resto sarà discesa, secondo affronterai così ogni momento critico della vita.
Che cosa senti di avere avuto indietro dai Rams? e che cosa pensi tu
di aver portato o dato ai Rams in termini concreti?
Indietro dai Rams ho avuto molto. Vittorie sofferte, sconfitte cocenti. Ma Big diceva spesso una cosa che ho fatto mia. Se dal campo o dalle sfide della vita, esci un po’ meglio di come sei entrato, allora hai vinto a prescindere. Ai Rams penso di aver dato molto. Ho tirato su tanti ragazzi, e il mio dirimpettaio di difesa arrivato con brutti voti e la voglia di fare nulla, ora è un ingegnere con un buon lavoro, non sono padre Pio, non faccio miracoli, ma…
Quali motivazioni hai avuto per migliorarti partita dopo partita ?
La motivazione principale (che però ho capito solo dopo anni) è stata quella di migliorare se stessi per raggiungere il miglioramento della squadra. La squadra è un meccanismo complicato, che però tende ad autoalimentarsi. Se io cerco di migliorarmi ogni allenamento, allora anche l’attacco migliorerà. Se l’attacco migliora la difesa deve migliorare per fermare l’attacco e così via passando per gli allenatori che devono trovare nuove soluzioni e così via.
Parlaci dei tuo rapporto con i Coaches, con i compagni, con i rookies …
Nella mia vita ho sempre cercato regole. Non perché non ne avessi a casa, ma ho sempre avuto fame di regole chiare. Per questo mi sono sempre reputato un soldato che ascolta gli ordini degli allenatori e li esegue alla lettera. Poi ovviamente il soldato è stato promosso o meglio si è evoluto in sergente, tenente colonnello, ma c’è sempre comunque un generale da cui prendere ordini. Questa filosofia fa parte di quello che sono in campo. Rispetta gli ordini e le direttive dei coaches. Dopo anni sono abbastanza in grado di capire se la decisione è giusta o sbagliata e il confronto è d’obbligo in questo caso, ma comunque si deve sempre remare dalla stessa parte.
Con i compagni, ho già detto che ho trovato dei fratelli e degli amici, con i rookies diciamo che cerco sempre di ricordargli il primo anno il loro ruolo di rookies, conosco qualche vecchio trucchetto per far si che mantengano sempre la concentrazione ma se volete saperne di più vi tocca iscrivervi ai Rams e venire a fare qualche allenamento.
Alessandro Ferri