Quante cose deve sapere un coach?
Come si giudica un coach? Quale il criterio con il quale valutiamo la persona alla quale affidiamo i nostri figli? Due domande molte difficili a cui dare risposta, ma due domande fondamentali per fornire un aiuto reale e serio ai ragazzi che ai coach sono affidati. Spesso un ragazzo passa molte più ore della sua adolescenza con il proprio allenatore piuttosto che con il proprio padre, tuttavia raramente il genitore approfondisce la preparazione che l’allenatore ha. Quale è il suo programma, come pensa di sviluppare la squadra e gli atleti che gli sono affidati? Quali sono i suoi obbiettivi? Tutto queste domande, che sono fondamentali spesso non vengono poste o nemmeno accennate. Un genitore mi faceva un paragone su altri aspetti della vita ugualmente importanti ai quali non diamo molto valore, per esempio la scelta del materasso. Se pensate che un terzo della nostra vita la trascorreremo sopra di esso, credo che dovrebbe meritare molta attenzione, viceversa ne mettiamo molta di più nella scelta
dell’autovettura, che in quella del materasso, incuranti dei benefici o dei danni che esso potrà arrecare alla nostra schiena ed al nostro riposo. Tornando a bomba, quali sono i criteri con i quali scegliamo una squadra piuttosto che un’altra? Chiediamo alla società i suoi programmi o ci basta sapere quanto ha vinto, o ci limitiamo al fatto che sia vicina ? Ci preoccupiamo di quanta attenzione riceverà nostro figlio a prescindere, o pensiamo solo che nostro figlio sia un campione e comunque avrà attenzione? Sappiamo i vincoli che firmando un cartellino la federazione e la società ci pone? Nel caso non si trovi bene potrà cambiare squadra? Lo sport non può e non deve diventare come sta diventando un parcheggio per i figli, lo sport non può e non deve diventare un lusso per pochi, lo sport deve riacquistare il suo valore fondante nella formazione di un ragazzo, affiancando la scuola che dovrà occuparsi di insegnare la logica e fornire le nozioni per assecondarla, avendo ormai perso il ruolo di educatrice. La cosa strana, infatti, è che spesso quello che non si accetta da un insegnante scolastico, lo si accetta da un allenatore, dimenticando che l’insegnante è comunque una persona che ha studiato e si è preparata per insegnare per molti anni e che ha dovuto superare un concorso per essere dove è, mentre un allenatore spesso è solo un ex giocatore che
crede di sapere tutto in quanto conosce un poco. Non sto parlando di football americano, che purtroppo non è comunque esente da questa pratica, ma di quasi tutti gli sport. Fare l’allenatore è una delle cose più difficili, richiede molta passione, molta umiltà, voglia di continuare a studiare per stare al passo con tutte le teoria che la scienza quotidianamente elabora per aiutare la prestazione non solo sportiva ed atletica ma anche la preparazione mentale. La psicologia dello sport è una delle branchie più importanti che un coach dovrebbe sviluppare, mentre è una delle meno studiate. La psicologia dello sport, non si limita a motivare l’atleta e aiutarlo a migliorarsi, ma si tratta di considerare il ragazzo nella sua interezza, lavorando sul livello mentale, comportamentale ed emotivo, con l’obiettivo di raggiungere uno stato di benessere e di salute. Sarebbe bello che lo stato decidesse di farsi promotore di squadre sportive allenate per esempio da laureati in scienze motorie, magari affiancati da psicologi sportivi e perché no nutrizionisti. Io non credo che sarebbe una spesa se non inizialmente, perché credo che alla lunga un popolo che fa sport è un popolo più sano, più civile e più attivo. So che rimane un sogno però io auspico sempre che un giorno qualche politico si ricordi che ai ragazzi non basta dire cosa non devono fare ma che sarebbe anche bello proporgli alternativi sane alle cose deprecabili che gli proibiamo di fare.