Riflettiamo sui comportamenti che tolleriamo o sottovalutiamo
Ieri una notizia mi ha sconvolto in modo particolare, quella di quel ragazzo di sedici anni che dopo aver accoltellato la fidanzata gli ha dato fuoco, mentre lei lo pregava di salvarla. Gli inquirenti raccontano di un ragazzo apatico, durante la confessione, che non dimostrava il minimo segno di pentimento. Continuo a chiedermi come si fa ad arrivare a commettere un gesto del genere? Quali modelli avrà avuto? Cosa può averlo influenzato a tal punto, da non farlo rendere conto di ciò che stava facendo. Che sport, faceva per esempio, se faceva uno sport, cosa di cui dubito? Poi mi chiedo se gli adulti, i giornalisti, chiunque ricopre ruoli di responsabilità si rende conto del linguaggio che usa, degli esempi che dà e di come alcuni atteggiamenti e comportamenti possono essere recepiti da chi magari non ha grandi punti di riferimento. Poi mi chiedo quanti dibattiti si sono fatti su questi temi, quante tavole rotonde, ma imperterriti, si preferisce usare atteggiamenti e linguaggi che istigano all’odio ed alla violenza. La tolleranza verso gli altri, il confronto delle idee non fanno odiens, l’insulto e la minaccia purtroppo si, ed allora ecco che chi non ha idee e non è nessuno, ricorre al mezzo più facile per diventare famoso: adeguarsi a questo comportamento. Malauguratamente anche chi avrebbe capacità e mezzi per comportarsi in maniera diversa, sceglie la strada più veloce per la notorietà facile, anche lui influenzato dal malcostume generale. Pensate ai vari Sgarbi, ottimo professore di storia dell’arte, ma famoso per le sue intemperanze più che per la sua scienza. Pensate a quanto spazio ha avuto sui giornali Corona, altra vittima di questo sistema. Purtroppo nessuno pensa alla conseguenze di questi fatti, ne chi adotta questo comportamento, ne chi tollera e diffonde lo stesso. Come sempre sono convinto che noi non abbiamo la possibilità di cambiare i massimi sistemi, ma abbiamo l’obbligo e il dovere di stare molto attenti ai nostri comportamenti. Se è vero che nell’adolescenza una dose di aggressività è naturale, dobbiamo essere impegnati ad indirizzarla in situazioni di sfogo, quali lo sport o la musica, per esempio. L’aggressività controllata e ben guidata diventa grinta e determinazione lasciata libera o istigata all’o
dio diventa violenza incontrollata. Sono sempre più convinto dell’importanza che lo sport può avere se utilizzato a questo scopo, a condizione che allenatori e dirigenti agiscano consapevoli del loro ruolo. Sono altresì convinto che coloro i quali non si adeguano al compito di educatori , non debbano avere la possibilità di istigare i ragazzi a comportamenti che potrebbero segnarne per sempre la vita e in quel caso mi aspetto provvedimenti seri e conseguenti da chi ne ha facoltà e potere, prima che ciò accada. In un momento così difficile per la società dobbiamo stare molto attenti a quello che diciamo e molto attenti a quello che tolleriamo venga detto. Stigmatizziamo l’ignoranza di chi rifiuta comportamenti civili rifiutando il confronto sulle idee e cercando di imporre le proprie con minacce e prepotenza, ricordandoci che il silenzio in questo caso è complicità. Approfittiamo della possibilità attraverso lo sport di insegnare la cultura del rispetto, dell’osservanza delle regole e della possibilità di poter essere sconfitti senza che questo determini una tragedia. La sconfitta è un fallo di reazione, una vittoria sporca, l’utilizzo del doping, l’intimidazione, queste sono sconfitte gravi. Perdere rientra nelle possibilità del gioco e deve essere visto come un momento di crescita e non come la fine del mondo. Pur impegnandoci al massimo per riuscire a vincere possiamo accettare che l’avversario abbia capacità maggiori delle nostre, senza che questo sminuisca il nostro gesto. La nostra tolleranza va diretta anche con i violenti, ma stigmatizzando e condannando i loro gesti e mettendoli nelle condizioni di sentirsi stupidi e non giustificati. La maleducazione e la prepotenza non devono mai essere giustificati se vogliamo cercare di vivere in un mondo migliore. Non è rispondendo alla violenza con la violenza che vinceremo questa battaglia di civiltà ma con la stigmatizzazione della nostra condanna verso chi ha dimenticato le regole del vivere civile, che potremmo cominciare a far capire anche a lui l’errore del proprio comportamento.