“Chi me l’ha fatto fare?

State pur certi che questa non è la prima frase che viene in mente su un campo da football. O meglio, generalmente lo è, ma probabilmente perché un colosso molto poco amichevole ti si sta avvicinando a una velocità molto poco rassicurante. Però nel mio caso era diverso. Io lì proprio non ci volevo stare, colosso o meno. Ora spiego.

La prima spinta ad avvicinarmi al football me l’ha data l’orgoglio. Quando a casa mia si sentiva: “Vado agli allenamenti, a dopo”, non ero io ad uscire dalla porta d’ingresso, ma mia mamma. Sì, mia mamma, quella signora anziana e un po’ gobba che gestisce il magazzino dei Rams e ti insegue per i corridoi del Saini con il foglio delle presenze in mano. Lei e Paolo, suo marito, “Big”, “Il Coach”, “Nini”, avevano avuto la bella pensata di rimettere in piedi i Rams, bianco-verdi cornuti milanesi degli anni 80. Che gioia! Una società di football american praticamente in salotto, in cui avrei potuto riversare tutta quella voglia di muovermi e fare sport che è radicata in ogni ragazzino delle medie che si rispetti. C’era solo un problema. Io alle medie ci andavo, ma voglia di sport zero. L’ultimo granello si era volatilizzato con una promettentissima carriera da rugbista sorta e tramontata nel giro di un anno tra la terza e la quarta elementare.

Dopo un anno di frustate all’autostima ogni martedì e giovedì decisi che se ci andava mia mamma, io non potevo essere da meno. Solo dopo mi fu spiegato che lei non doveva entrare in campo, ma ormai ero in trappola.

La mia cattura fu infine ultimata grazie al continuo viavai di ragazzi che venivano a casa a tesserarsi o a prendere le protezioni. Nutrendomi della loro determinazione crebbe in me un sentimento molto simile alla curiosità, non dello sport, ma del motivo di tanto entusiasmo.

Dopo il primo allenamento avevo capito, se non ciò che li aveva attratti all’inizio, il gioco infatti sarebbe cominciato a piacermi solo molto tempo dopo, certamente quello che li faceva restare.

La squadra era, ed è, come un grande bazar  variopinto dove ognuno può trovare ciò di cui ha bisogno. C’è chi porta a casa il coraggio dato dallo sguardo d’intesa di un compagno, chi la fiducia trasmessa da una pacca sulla spalla, chi degli amici sinceri, chi una famiglia attenta. Il prezzo è sempre lo stesso e lo possono pagare tutti: l’impegno costante e un pezzo di cuore.

Questi sono gli unici prerequisiti richiesti, indispensabile carburante della “Green Machine”, il complesso meccanismo che ogni martedì e giovedì lavora e cresce, forte del contributo di ogni singolo ingranaggio.

Dopo quel primo allenamento avevo capito che volevo essere un ingranaggio verde.”

 

Riccio #66