Regaliamo la nostra testimonianza

Perché? Perché? Da sabato questa domanda mi assilla. Come ha vissuto quel ragazzo che ha ucciso venti bambini, oltre ai genitori e ad alcuni insegnanti? Quanta rabbia e rancore doveva avere dentro di se per sfogarla in quella maniera e quanta sofferenza per arrivare a togliersi la vita. Noi ci preoccupiamo se questo Natale potremo comprare più o meno regali, se il pranzo di Natale sarà più o meno ricco, io non riesco a pensare a come questo Natale sarà vissuto da quei bambini che sono sopravvissuti e dalle famiglie di quelli che sono morti. Quando decisi di fondare questa squadra con pochi volonterosi lo scopo era quello di tentare di prevenire che alcuni ragazzi si rovinassero usando stupefacenti, erano gli anni ’80, gli anni in cui si moriva per strada per l’uso di eroina e non riuscivamo più a sopportare di vedere ragazzi, amici, coetanei morire stupidamente. Lanciammo allora i “braccia pulite” invitando i nostri giocatori a girare con le maniche oltre il gomito per mostrare che non vi fossero segni di buchi. Non era molto, ma fu sicuramente un messaggio, una opportunità, che fu  ripresa e diffusa  da molti quotidiani e che già da allora ci contraddistinse per il nostro modo di concepire lo sport. La pratica sportiva come formazione, lo sport come momento di crescita, di sfogo dell’aggressività nel rispetto delle regole. Quando ci ritrovammo nel 2007 la situazione era cambiata, il problema non è più la droga, o per lo meno non è più solo la droga, è la politica del tutto subito e senza sforzo, come gli effetti iniziali della droga. E’ l’idea che la felicità sia quella che ci viene proposta da modelli mediatici, senza che nessuno ci faccia capire  che tali modelli non appartengono al mondo reale in quanto costruiti ad hoc, per darci l’illusione di poter acquistare il risultato, mentre la soddisfazione, la gratificazione  viene dal percorso per conquistarlo il risultato. Mi spiego il ragazzo con il fisico palestrato, non è vincente in quanto tale ma lo è se si immagina un percorso di lavoro e sacrificio per raggiungere tale obbiettivo, inoltre sarebbe anche opportuno sapere quale è stato il suo punto di partenza. E’ il percorso per raggiungere l’obbiettivo quello che ci gratifica o che ci deprime. Se mi riempio di anabolizzanti e raggiungo in sei mesi la massa muscolare che un altro ha raggiunto in anni di lavoro, non sarò gratificato perché non è l’obbiettivo che mi gratifica ma il percorso che mi ha portato all’obbiettivo. Quello che ha lavorato per anni ha imparato a superare momenti di stanchezza, ha vinto momenti di pigrizia, ha condiviso lo sforzo con altri con i quali si è stimolato a vicenda, a imparato a gioire per i piccolo traguardi raggiunti e superati e sa che il percorso non finirà mai. Chi si è anabolizzato sa che sta appropriandosi di qualcosa che non si è guadagnato e non è cresciuto durante il suo percorso. E’ come chi si maschera per carnevale, ha indossato semplicemente un costume che non gli appartiene, o come la donna che mettendo il tacco pensa di essere più alta, con la differenza che il tacco si vede e chi lo indossa sa di portarlo, mentre l’altro è convinto di essere uguale a chi facendo un percorso formativo a raggiunto apparentemente gli stessi risultati. Se ripensate alla nostra recente storia  avevamo già vinto  negli spogliatoi di Bresso. L’essere riusciti a giocare come una squadra, l’essere tutti consapevoli che i ragazzi in campo si erano sacrificati si per se stessi, ma anche per i propri compagni e che per un patto non scritto erano andati a dormire presto, avevano  mangiato in maniera adeguata e che avrebbero  giocato  lealmente e  correttamente era la nostra vittoria. La commozione di Randy alla fine, o la mia o quella di Fabio e di tanti altri era la soddisfazione di chi aveva imparato attraverso tante sconfitte a riconoscere il valore degli altri a lavorare di più e meglio per tentare di migliorarsi nella speranza che ciò bastasse. Se non fosse bastato eravamo comunque contenti di averci provato insieme. Quando Marco scrive :” Così in ogni momento di difficoltà, in ogni partita, a scuola, ho imparato che io “sono” con i RAMS e non posso deluderli, non voglio.” , incarna esattamente lo scopo per cui i Rams si sono ritrovati su un campo. Credo che questo sia un modo concreto per cercare nel nostro piccolo, piccolissimo, di dare un nostro contributo di dare una opportunità a chi si sente solo o emarginato, per questo le nostre quote associative sono basse, per questo non ci interessa quanto uno sia grosso, vogliamo crescere insieme ed aiutarci per far si che nessuno possa mai arrivare ad un tale punto di disperazione come è successo negli USA. Utilizzate il nostro calendario ed il vostro comportamento per far sapere che esistiamo e che siamo pronti ad insegnare a tutti e a condividere con tutti il nostro percorso. Regaliamoci una opportunità sarà un grande regalo di Natale.