Le cose che non capiamo.

Leggiamo spesso o sentiamo dire che il football è diviso, poi gli stessi che lo scrivono o lo dicono sostengono che noi non siamo nessuno o che non esistiamo. La realtà ci sembra molto più semplice e per questo non riusciamo a capire la volontà di continuare  a denigrarci  o deriderci. Pensavamo che la cosa sarebbe finita quando siamo entrati nel CONI tramite l’AICS, ma non è bastato. Il Consiglio Federale ha allora deciso di invertire le stagioni così da ribadire che non vogliamo essere concorrenziali, ma molto più semplicemente vogliamo permettere di giocare a chi non ha i soldi per sostenere costi non essenziali per giocare,  cercando  di continuare con quel carattere dilettantistico che ha sostenuto la nascita e lo sviluppo di questo sport. Nella nostra piccola organizzazione partiamo da un principio: la abilità e la capacità di promuovere, insegnare  e di giocare a football non dipende da quanto si pagano i giocatori , gli allenatori o i dirigenti, ne da quanto si pagano gli arbitri, ma molto semplicemente dalle capacità degli stessi. Il nostro obbiettivo è quello di evitare di investire soldi che non abbiamo per mantenere strutture burocratiche che possono essere superate da poco lavoro da parte di tutti. Insomma l’intento che la FIF a.s. ha è quello di far si che tanti facciano poco, anziché demandare a pochi pagati, le incombenze di molti. Crediamo in questo di non danneggiare nessuno. Comprendiamo che ci siano persone che ambiscano ad andare a giocare per i professionisti  o almeno nei college americani più prestigiosi, e che per questo abbiano bisogno di investire i soldi di molti per permettere a pochi, forse di provarci, assistiamo a questo fenomeno già nel calcio, ma il nostro obbiettivo non è questo. Noi vogliamo permettere a molti di giocare, divertirsi, senza modificare la propria struttura fisica, tonificando i propri muscoli per evitare infortuni, ma avendo ben presente che lo sport è e può  rimanere un mezzo e non un fine, senza nulla togliere a chi tenta di farlo diventare un lavoro. Ci prepariamo e tentiamo di diventare migliori come uomini, prima che come atleti, lasciando ad altri la facoltà di aumentare la propria massa per diventare più forti e competere con i migliori. La stessa cosa succede in molti altri sport. L’Italia è piena di tornei e campionati organizzati dall’AICS o dalla UISP o dall’AICS stessa, senza che la FIGC o la FIP o altre federazioni cerchino di denigrare i loro organizzatori o i loro partecipanti. Chiamare 32° Superbowl la finale del campionato da noi organizzato non è competere o voler danneggiare l’immagine di nessuno, semplicemente è continuare una tradizione che noi volemmo 32 anni fa e che nessuno della attuale federazione a mai voluto o potuto rivendicare per propria scelta. Sarebbe infatti difficile spiegare come mai si vuol rinnegare le finali che la  attuale federazione che esiste dal 2000 ha disputato per appropriarsi di quelle che giocavano,  continuando una tradizione voluta tanti anni prima. La cosa è talmente vera che mai nessuno ha rivendicato quella numerazione. Credo che una federazione che riceve tanti riconoscimenti e che ha al suo interno tante persone capaci saprà inventare un nome al quale poter dare maggior dignità e prestigio di quanto abbia saputo fare l’AIFA all’inizio o la FIF a.s. oggi a tale definizione della propria finale. Tanti investimenti, tante capacità non hanno certo bisogno di appropriarsi della nostra tradizione  generando confusione laddove confusione non c’è e neanche competizione. Riteniamo che avere poche risorse economiche non sia una colpa, ne che sia una colpa accettare di far giocare chi è disposto a fare sacrifici senza perdere di vista la propria vita e il proprio futuro, o chi non avendo capacità atletiche fuori dal comune voglia comunque giocare sopperendo con la volontà al talento. In fondo gli enti di promozione sportiva dovrebbero servire proprio a questo. Speriamo di essere stati chiari e ci aspettiamo per i nostri atleti e i nostri dirigenti ed arbitri  il rispetto che il loro impegno merita.