The heart tells the story

Quanto costa un anello in oro vinto al Super Bowl in termini di sudore  e abnegazione? Un percorso lunghissimo, fatto di impegno, forza di volontà e voglia di rialzarsi sempre, yard dopo yard, da un campo infangato che ti esorta a smettere. Arrivi a quel Super Bowl solo se ci hai creduto veramente, per tutta la tua dannatissima vita fino a quel giorno. A volte a noi capita di non aver voglia di allenarci, o di sentirci troppo bravi sol perchè abbiamo eseguito una volta tanto un buon placcaggio, una discreta ricezione o una bella corsa. Per arrivarci però, a quel giorno, dove oltre cento milioni di americani hanno gli occhi fissati sul tuo casco, di placcaggi, di ricezioni e di corse non buone ma ottime, ne dovrai aver fatte a migliaia. Solo per poter timbrare il cartellino di presenza. Poi guardi Mike Lodish che ti sorride e ti dice che – con i suoi anelli al dito – di Super Bowl ne ha giocati 6. E nei tuoi occhi quella strada infinita che avevi immaginato fino a un secondo prima, si allunga ancora di più…

Probabilmente da ieri sera, il concetto di sudore e abnegazione per noi, avrà tutt’altro significato. Non significherà stringere i denti se fa male una mano, significherà strapparsi il cuore di dosso e poggiarlo sulla linea di scrimmage per farlo vedere a chi ci sta di fronte e ai nostri fratelli che combatteranno con noi. “Have fun!” ci ha detto sempre Mike, con la polo dei Broncos sporca di fango e terra come l’ultimo dei ragazzi Rams che si allenavano. Divertiamoci, con la stessa passione con cui lui e Johnny Tusa hanno saltato un oceano per venire a spiegarci quanto bella sia la palla ovale. Perchè di quegli anelli al dito noi probabilmente non ne porteremo mai, ma quel cuore poggiato sulla linea di scrimmage ci unirà da continente a contiente. Così, proprio come ci ha salutato Coach Tusa: “Remember guys… The score does not tell the story. The heart tells the story.” Me lo ricordo ancora. Avevo 13 anni e la voglia di spaccare il mondo. O quantomeno, la porta dello stadio di casa dove stavo giocando a calcio. Entro in area, carico il destro e poi il buio. Urla. Il ginocchio insaguinato, il segno dei tacchetti sul polpaccio, operazione sfiorata. Dopo quell’infortunio che mi tenne lontano dallo sport diverso tempo non subii più un contatto simile. Prima della settimana scorsa. Inseguo il runningback sulla linea laterale, lui esce, io rallento, poi il buio. Il grande errore è stato mio, nel non restare concentrato fino all’ultimo. Onore all’avversario che ce l’ha messa tutta per difendere il suo compagno di squadra da me. Anche questo è Football.

La delusione che ti resta però, nell’apprendere che starai fuori dal campo per almeno 20 giorni è enorme. Amara da inghiottire, difficile da digerire. Con le costole ci ragioni poco, purtroppo. Ma è li che capisci che il Football è e deve essere anche un’altra cosa. Qualcosa come essere presente agli allenamenti, anche se in abiti civili non puoi partecipare ai drill (e ne soffri!). Perchè incitare i tuoi compagni, i tuoi amici, i tuoi fratelli, a dare il centouno per cento, in vista della prossima sfida, non è affatto banale. Bisogna essere forti nella testa. Eravamo in più di uno Martedì scorso, animati da queste sensazioni. Chi con infortuni più lievi chi con più gravi. Ma tutti abbracciati virtualmente in un’unica mischia. Questo non ci garantirà mai la vittoria, ma ci garantirà di entrare in campo a testa alta. Starà a noi capire poi quanto vogliamo donare a quella gara e ai nostri compagni. Ciò che doneremo ci tornerà indietro, ciò che non doneremo ci tornerà egualmente indietro, ma per farci male. Il Football non è solo uno sport, ma la nostra filosofia di vita. I Rams non sono solo una squadra, ma la nostra famiglia. Rispettiamola

Semplicemente Enricuzzu

Tratto dal : http://enricuzzu.blogspot.com