Convention AFCA

Domani a quest’ora sarò in volo verso gli States. Devo dire che ogni volta che vado alla convention dell’Afca sono emozionato come un bambino che va a Disneyland. La prima volta fu nel 1987 e da allora tanti anni sono passati, il football professionistico è molto cambiato, trascinando in parte nelle sue regole di business anche quello più vero dei college. Lo si nota anche dai numerosi sponsor che oggi circondano le sale dove i vari coach spiegano le loro filosofie e dove altri cercano di illustrare i loro schemi vincenti. Devo essere onesto, sarà per il mio inglese, sarà per l’età, ma credo soprattutto per la mia ignoranza, non sempre riesco a capire gli schemi di cui parlano, diverso è per la filosofia. Credo di essere stato un precursore delle nuove tendenze che oggi sembrano allargarsi a macchia d’olio tra i vari allenatori. Lo scopo finalmente non sta nel limitarsi a trovare nelle tante High school il giocatore più forte che potrà diventare professionista , ma si comincia a capire che pur continuando a muoversi in quel senso, ci sono tanti altri ragazzi che dovranno diventare professionisti nella vita, nelle professioni molto più complesse di quella di giocatore. Mai come oggi è difficile diventare uomini, padri, cittadini. Il mondo va avanti senza sapere dove andare, e ogni anno qualcuno afferma il contrario di quanto detto l’anno prima. Sembra eri che si parlava di catastrofe dovuta al surriscaldamento del pianeta, oggi stiamo annoverando freddi record in tutto il mondo. Erano pochi anni fa quando si parlava del problema siccità, oggi si discute di come difendersi dalle alluvioni e cosi via. Purtroppo non siamo più capaci di programmare il nostro futuro, vogliamo tutto subito e se non lo otteniamo pensiamo che ci sia un problema. La cosa purtroppo riguarda tutti i campi. Pretendiamo che un bambino nasca prima possibile, parli dopo pochi giorni, corra ed interagisca con noi subito, senza lasciargli i suoi tempi che, tra parentesi non sono standard ma variano da individuo ad individuo. Cosi nella vita, incuranti delle nostre caratteristiche, pretendiamo che tutti si laureino, non importa in cosa, ma che lo facciano, e se uno non ci riesce, cerchiamo scorciatoie e di cambiare le regole, non accettando che ci sia anche qualcuno che possa non essere portato per lo studio ma per altre mansioni, ugualmente apprezzabili, o che semplicemente maturi in tempi diversi. Non ascoltiamo ma pensiamo di sapere esattamente cosa pensano gli altri. Nel mondo della comunicazione ci si esprime a monosillabi e generalmente neanche quelli vengono ascoltati. Cosa c’entra tutto questo con il football? Con l’Afca? La vita è il football, se guardiamo con attenzione scopriamo le differenze di filosofie delle squadre e delle federazioni, scopriamo come allenatori,e dirigenti, impreparati portino a stravolgere gli obbiettivi e non accettare i naturali tempi di crescita. Si pensa ad un disonore o ad una sconfitta il fermarsi a costruire basi solide per cui si corre a costruire piani dopo piani senza fondamenta adeguate, irridendo che prima scava per farle, per poi trovarsi ciclicamente ad ogni imprevisto a crollare miseramente. Il football si diffonde come sport di conquista, e deve crescere conquistando giorno dopo giorno la sua credibilità. Un giocatore per quanto bravo ha bisogno di tempo per assimilare un gioco che non è naturale come il football. Ci vuole tempo per capire come usare il casco, come prendere o lanciare un pallone , come leggere una difesa, e bisogna rispettare i giocatori permettendogli di imparare, di fare esperienza, senza mortificarli con obbiettivi troppo ambiziosi, e senza fargli rischiare gravi infortuni opponendoli ad avversari più esperti, per poi accantonarli nel caso non riuscissero dove l’impazienza dei coach li aveva spinti, o sostituendoli con giocatori pagati per dimostrare che si è bravi. Ecco all’Afca si impara, sempre più spesso, che chiunque vuole fare l’allenatore deve prima di tutto rispettare questo splendido sport e le sue regole, deve rispettare i propri colleghi, non rubando il lavoro da loro svolto, rispettare i propri giocatori non scaricando su di loro la colpa, ma avendo la pazienza di rivedere i propri metodi di insegnamento, rispettando anche la parte umana di essi, guidandoli attraverso un percorso di crescita che ha dei tempi che non possono essere accelerati, ne da sostanze pericolose, ne da super lavoro. Il football non è uno sport che si può giocare tutto l’anno, ne uno sport che si può giocare senza allenamento. Il football è la fotocopia di quello che succede tutti i giorni nella vita.
Chi è sleale in campo sarà disonesto nella vita. Chi sa annoverare una sconfitta senza mollare, lo farà anche nella vita, chi sa perdere presto saprà anche a vincere. Chi non sa vincere non accetterà di perdere. Sopratutto quello che ho imparato è quello che Brown disse l’anno scorso:” Facciamo in modo che i ragazzi escano dal campo ogni volta migliori di quanto ci sono entrati”. Io mi sono permesso di modificarla dicendo: “Facciamo in modo che ogni volta che entriamo in campo ne usciamo tutti migliori di quando ci siamo entrati”.